Sui mezzi ducati napoletani del 1617 campeggia re Filippo III ma, dalla sua spalla, fa capolino il duca di Ossuna, che mai sarebbe dovuto apparire in moneta
di Enrico Piras | L’aspetto delle monete ha, per i numismatici, grande importanza. Una moneta può anche essere rara o costosa, ma il piacere di contemplare un busto virile o muliebre ben eseguito e impreziosito dalla patina da sembrare un cammeo è impagabile.
Il profano si potrebbe chiedere se questi ritratti, oltre che belli, siano anche attendibili: la vanità, assecondata dal potere, non si fa certo scrupoli di preservare la memoria storica, soprattutto se questa ha le sembianze di un profilo poco meno che greco o di uno strabismo non propriamente di Venere. Tutto sommato, però, possiamo rassicurare i neofiti che le monete, di solito, dicono la verità anche se, talvolta, ne nascondono una parte.
E’ il caso del mezzo scudo d’argento fatto coniare a Napoli nel 1617 dal viceré spagnolo Don Pedro Téllez y Giron, duca di Ossuna. La moneta ha un diametro di circa mm 30 e presenta al dritto il busto di Filippo III di Spagna (1578-1621), con la legenda PHILIPP : III : D G : REX; al rovescio, invece, troviamo raffigurata un’aquila recante negli artigli un ramo d’olivo e un fulmine, con la legenda QVOD VIS.
Nell’epoca di cui parliamo infuriava la guerra fra Venezia e gli Austriaci. Il duca di Ossuna, tenacemente ostile alla Serenissima, inviò alcune navi da guerra a sostegno di questi ultimi e, proprio in seguito alle trattative di pace, fu battuto il mezzo scudo in esame.
L’iconografia e la legenda del rovescio della moneta – come dello scudo dello stesso anno – richiamano le circostanze che portarono alla sua coniazione: l’aquila, simbolo regale, offre ai nemici della Spagna due alternative: l’olivo, cioè la pace, e la saetta, ovvero la guerra, accompagnati dall’eloquente invito QVOD VIS (“Ciò che vuoi” ). Tanta arroganza collima perfettamente con la personalità di chi la fece battere, il duca di Ossuta, un personaggio così originale che vale la pena spendere su di lui qualche parola.
Nato nel 1579, fu viceré di Napoli dal 1616 al 1620. Soltanto quattro anni, come si vede, ma che gli furono più che sufficienti per farlo ricordare. Stravagante, irascibile, imprevedibile, avido, corrotto e, soprattutto, megalomane, l’Ossuna riuscì nell’impresa di prosciugare le pingui casse partenopee.
La sua specialità erano le feste: ne diede di bellissime, soprattutto in occasione del carnevale. Quella tenutasi il 5 febbraio 1617 fu poi particolarmente spettacolare: una dozzina di carri, ciascuno trainato da tre pariglie di destrieri, furono addobbati con ogni ben di Dio e poi concessi al popolo, che ovviamente li saccheggiò, sotto lo sguardo divertito del viceré, per l’occasione vestito “alla turchesca” e accompagnato da un corteo di ben duecento cavalieri mascherati.
Non gli mancava nessun vizio, o forse sarebbe meglio dire che non se lo faceva mancare. Gran donnaiolo, si procurò tante amanti e non esitò, pare, a concupirle addirittura in chiesa, fatto che gli procurò l’accusa di immoralità. D’altra parte, rimproverarlo per la sua condotta poteva essere pericoloso, come appurò la sua povera moglie che, per averlo fatto, fu centrata in pieno volto da un piatto d’argento massiccio.
Chissà, forse quest’uomo dal carattere eccessivo come il secolo in cui è vissuto, alla fin fine era addirittura ingenuo, se pensava di poter svuotare le casse reali facendola franca; ma queste vicende, fuori dai teatri, finiscono sempre tragicamente. Filippo III, allertato di quanto stava succedendo a Napoli, lo richiamò in Spagna. La morte del re, nel 1621, sancì la fine dell’Ossuna. Imprigionato, morì in carcere nel 1624, a soli 45 anni.
A questo punto, chi legge si starà chiedendo quale relazione ci sia fra le vicende del duca di Ossuna e la moneta di cui parliamo, e perché essa rappresenti una curiosità. Infatti, a un primo sguardo questo mezzo scudo appare del tutto “normale”.
Ma poteva un personaggio così ambizioso e bizzarro accontentarsi di coniare una moneta che non recasse un’impronta del suo estro? Se la si osserva bene si può notare, nella parte inferiore del busto del re, all’altezza della spalla, la presenza di un ritratto virile rivolto verso il basso. Un esame della moneta esclude la casualità, e il paragone con una coeva medaglia, nonché con molte altre fonti, sgombra il campo dai dubbi: l’uomo raffigurato non può che essere lui, il duca di Ossuna!
Il poeta spagnolo Francisco de Quevedo, che era amico dell’Ossuna, gli dedicò una famosa poesia, Memoria immortal de Don Pedro Giron. Questi versi straordinari sono forse il motivo principale per cui oggi il duca è ricordato. Trattandosi di una poesia in memoriam, egli non ha mai potuto leggerla. Ne sarebbe stato contento, ma in ogni caso, “il nostro”, alla sua immortalità ci aveva già pensato, affidandola ad alcune medaglie e, “in modo occulto”, anche ad una moneta.