Un’importante confraternita veneziana celebra il proprio patrono nel corso dei secoli | Storia e devozione, arte e simboli per due santi di nome Teodoro
di Luca Mezzaroba | Scopo di questo studio è analizzare la rappresentazione di san Teodoro attraverso le medaglie della Scuola Grande veneziana a lui intitolata. Anche la medaglia infatti, particolarmente apprezzata nei secoli XV e XVI, ma diffusissima sino alla metà del XX secolo, oltre ad offrire stimolanti chiavi di lettura, come quella artistica o storica, può proporre altri spunti per completare la ricerca su questa importante confraternita.
Per sua stessa natura, infatti, la medaglia ha un carattere soggettivo in quanto emessa da un privato, il quale suggerisce all’artista iconografie ed iscrizioni in modo del tutto personale e secondo i propri specifici interessi.
Tutto questo risulta ancora più evidente proprio nel contesto della Scuola Grande di San Teodoro, in quanto, come si avrà modo di vedere, la stessa figura del Santo patrono, nonostante la sua importanza nel contesto lagunare, risultava di difficilissima interpretazione per gli stessi confratelli già nei secoli scorsi a causa della grande confusione e mescolanza di tradizioni che lo riguardavano; così anche la rappresentazione iconografica finiva per costituire una precisa scelta di campo del committente. Per approdare a questa analisi sarà però importante richiamare alcuni aspetti generali legati all’utilizzo delle medaglie presso le Scuole Grandi di Venezia.
Le medaglie ottocentesche
Fin dal XVI secolo i guardiani grandi delle Scuole veneziane erano soliti assegnare delle Palme, vale a dire dei doni simbolici o commemorativi, ai confratelli della Banca e della Zonta[1], alla scadenza delle cariche annuali, generalmente il giorno della Domenica delle Palme; talvolta tali doni consistevano in medaglie appositamente realizzate. Questa abitudine però era andata decadendo a causa dei gravosi oneri economici che essa comportava, portando addirittura i confratelli a rifuggire gli incarichi più prestigiosi proprio per evitare qualsiasi tipo di spesa.
Nel 1789, però, la Scuola Grande di Santa Maria della Carità decise di rivitalizzare la consegna di medaglie celebrative apportando alcune fondamentali modifiche: a ricevere le medaglie sarebbero stati, oltre ai rappresentanti statali, solamente i confratelli uscenti della Banca e della Zonta per un totale di 56 persone[2].
La tecnica di realizzazione sarebbe stata quella della coniazione, affidata a un noto artista; il dritto di queste emissioni sarebbe stato “stabile”, vale a dire destinato a rimanere costante e prodotto sempre con lo stesso conio, mentre ogni anno ci sarebbe stato un rovescio “variabile”, ispirato ai più importanti eventi tratti dalla storia della Scuola. Tale modalità di realizzazione, oltre a ridurre drasticamente i costi (dato che il dritto rimaneva costante), avrebbe consentito di creare una vera e propria serie di medaglie annuali della Scuola, che infatti risultò molto apprezzata dai collezionisti data la sua elevata qualità.
A. Schabel, Medaglia annuale della Scuola Grande della Carità, 1799 (argento, g. 27,4; Ø 41,2 mm; Venezia, Collezione privata)
L’operazione avviata dalla Scuola Grande della Carità ebbe dunque successo: la serie, che prende avvio da un esemplare “modello” del 1776[3] e arriva fino al 1799, fu realizzata dal primo incisore della Zecca veneziana Antonio Schabel[4]; l’intera collezione dei conii è oggi conservata presso il Museo Correr di Venezia.
Presto questa pratica fu imitata da altre due Scuole Grandi, rispettivamente quella di Santa Maria della Misericordia (nel 1793) e di San Giovanni Evangelista (nel 1795). Altre Scuole invece non aderirono a tale progetto, preferendo distribuire donativi diversi o, più raramente, medaglie prodotte per fusione. Quanto alla confraternita di San Teodoro, l’uso delle medaglie sembra essere stato costantemente ignorato forse per motivi economici.
L’ultimo decennio del XVIII secolo, infatti, fu particolarmente duro per la Scuola Grande di San Teodoro: nel 1796 la confraternita era stata costretta dal governo veneziano a cedere una parte delle sue argenterie per far fronte al pericolo francese e un anno dopo, con la caduta della Repubblica e l’arrivo delle armate napoleoniche, anche il resto degli oggetti preziosi dovette essere portato nella zecca e fuso per far fronte agli impegni assunti dal nuovo governo.
La stessa sede della Scuola Grande subì la sua prima trasformazione, diventando “Accademia patriottica”[5] e venendo privata della maggior parte del suo notevole patrimonio artistico e pittorico. La crisi che colpì San Teodoro non risparmiò le altre Scuole Grandi: questo appare evidente se si considerano gli anni in cui vennero a interrompersi tali serie di medaglie: rispettivamente il 1798 per San Giovanni Evangelista e il 1799 per la Carità e la Misericordia.
Appare perciò inaspettato e sorprendente il ritrovamento di una medaglia del tutto inedita della Scuola Grande di San Teodoro datata 1804 e chiaramente commissionata dal guardian grando Giuseppe Zanutti per celebrare la conclusione del suo mandato (iniziato il 12 maggio 1803 e terminato l’8 aprile 1804, giorno in cui egli fu sostituito da Cristoforo Martini[6]).
Anonimo, Medaglia annuale della Scuola Grande di San Teodoro, 1804 (argento, g. 17,7; Ø 43 mm; Roma, collezione privata)
Nei primissimi anni del secolo infatti, la Scuola Grande, pur esistendo ancora, viveva un periodo di completa decadenza: dal 1801, sotto il dominio degli Asburgo, la sede della confraternita era stata trasformata in un deposito di farine, che il governo accumulava in previsione di un possibile attacco dei Francesi. Considerando questa grave situazione, è dunque sorprendente che il guardian grando uscente Giuseppe Zanutti[7] fosse riuscito a distribuire una medaglia in argento di fattura tanto accurata, anche se in un numero limitato di esemplari, vista la realizzazione con la tecnica della fusione.
Se infatti il rovescio della medaglia presenta la scritta in latino, su cinque righe, che indica il nome del personaggio, il titolo e la data, il dritto propone l’immagine di San Teodoro a destra e in piedi, rivestito di armatura e mantello, mentre stringe nelle mani la palma del martirio e la lancia; tutto intorno al Santo si sviluppa la scritta in latino S. THEODORUS AMASENVS (San Teodoro di Amasea). La medaglia è infine munita di un elegante appiccagnolo.
A sinistra, Anonimo, Sigillo bizantino di San Teodoro Tiro che uccide il drago (New York, Metropolitan Museum; in La Scuola Grande di San Teodoro, op. cit., p. 78). A destra, Anonimo, Icona di San Teodoro Stratelate, per la Scuola Grande di San Teodoro, da affresco originale del XII secolo (in La Scuola Grande di San Teodoro, op. cit., p. 4)
L’iconografia di San Teodoro presentata dalla medaglia è particolarmente interessante in quanto porta ulteriori indizi, ma anche nuovi motivi di perplessità, per la complessa identificazione del patrono della Scuola Grande: è noto che il culto del Santo, diffuso nelle lagune veneziane nel 552 dagli eserciti bizantini di passaggio durante la guerra gotica[8], fu antecedente a quello di San Marco, le cui reliquie giunsero a Venezia solo nell’828, tuttavia la precisa identificazione di quale dei santi chiamati Teodoro si tratti rimane ancora difficile.
La tradizione agiografica, infatti, parla di due santi Teodoro, il primo comunemente detto Tiro (dal greco “tyron” cioè “recluta”) e il secondo chiamato Stratelate (cioè “portatore di lancia”) o Generale, entrambi originari dell’Oriente e, seppure in tempi diversi, divenuti molto popolari nel mondo occidentale. Proprio a causa di questa omonimia e degli stretti legami che Venezia ebbe con il mondo orientale, ancora oggi gli studiosi non riescono a trovare un accordo: è accertato che nel 1257 un certo Giacomo Dauro prelevò dalla cittadina di Messembria, in Tracia, il corpo di un San Teodoro e lo portò nella chiesa di San Nicola a Costantinopoli; da lì, un anno dopo, il cugino Marco Dauro condusse le reliquie a Venezia e le affidò alla chiesa di San Salvatore[9]. Ma di quale Santo si trattava? Alcuni studiosi lo identificano con il Santo più antico, vale a dire Teodoro Tiro, il cui culto era probabilmente quello portato in Italia dalle truppe bizantine e quindi il primo patrono della stessa Venezia.
In effetti l’iconografia della giovane “recluta”, martirizzata con il fuoco all’incirca nel 306, presso la città di Amasea nel Ponto, per aver rifiutato di sacrificare alle divinità pagane, coincide con quella che si ritrova nei mosaici della basilica di San Marco e della stessa medaglia ottocentesca, caratterizzata cioè dal mantello e dall’armamento romano.
La situazione tuttavia si complica con l’entrata in scena del secondo Santo Teodoro, il cui culto, sviluppatosi con forza nell’impero bizantino durante il X secolo, presto si fuse con quello del Santo precedente, diffondendosi poi lungo tutte le coste del Mediterraneo; arrivando però anche al paradosso di dar vita al culto di due Santi distinti ma rappresentati in modo speculare.
Così come era accaduto con il sepolcro di Teodoro Tiro infatti, anche la sepoltura dello Stratelate fu individuata nella cittadina di Euchaita, nel Ponto[10]; fu probabilmente questa convinzione a spingere i sovrani bizantini a cambiare il nome del borgo in Teodoropoli, in ossequio a quello che era ormai diventato il Santo patrono del vittorioso esercito bizantino e che, nel XII secolo, la principessa e storica Anna Comnena non esitava a definire “il più grande dei martiri”[11].
A questa complessa situazione bisogna infine aggiungere la presenza del drago, che si affianca alla figura del Santo già in tempi molto antichi, ma che non sembra appartenere in alcun modo alle vicende né del Teodoro “recluta” né del “generale”. La raffigurazione del fantastico rettile, oltre a costituire un simbolico riferimento al male, trova spiegazione in un’interessante teoria che vede San Teodoro connesso ad un altro celebre Santo soldato, Giorgio, la cui agiografia è effettivamente legata alla lotta contro un drago.
I due Santi, inizialmente raffigurati insieme in molte chiese orientali, ad un certo punto sarebbero stati separati; tale nuova situazione avrebbe creato una certa confusione e favorito l’attribuzione delle caratteristiche di un Santo alla vita e all’iconografia dell’altro, legando quindi impropriamente il drago alla figura di San Teodoro[12].
Da quanto detto, dunque, l’identificazione di quale San Teodoro sia effettivamente il patrono della Scuola Grande fu[13] e rimane molto complessa a causa della mescolanza di tradizioni che giungevano a Venezia dall’Oriente. Se infatti alcuni studiosi ritengono che esso sia da individuare con Teodoro Tiro, martire ad Amasea[14], il primo patrono veneziano le cui reliquie giunsero in laguna già nell’XI secolo, altri affermano che si tratti invece dello Stratelate[15]; vi sono poi coloro che, pur accettando la prima tesi, sostengono che il corpo del Santo fosse quello portato nel XIII secolo[16].
Tornando ora all’iconografia del Santo nella medaglia ottocentesca, come già accennato essa presenta un Teodoro con caratteristiche molto precise ma allo stesso tempo sobrie: oltre alla palma e alla lancia, che lo identificano come martire e Santo soldato, egli indossa solamente un mantello e una corazza che richiamano da vicino quelli romani; non sono dunque presenti altri elementi quali cavalcature, nimbi e soprattutto draghi. Tutto questo fa pensare che l’anonimo autore della medaglia si sia ispirato (forse su esplicita indicazione del committente) a San Teodoro Tiro: vale a dire la semplice recluta romana che subì il martirio nel 306.
Se questa ipotesi fosse vera, sarebbe possibile ritenere che, almeno nell’Ottocento, i confratelli della Scuola Grande avessero bene in mente chi fosse il loro Santo patrono; purtroppo tale teoria risulta poco sostenibile se si considera la seconda e più nota[17] medaglia ottocentesca dedicata a San Teodoro e voluta dal guardian grando Tommaso Ambrosioni, agiato mercante di origini bergamasche[18], appena un anno dopo.
T. Mercandetti, Medaglia annuale della Scuola Grande di San Teodoro, 1806 (argento, g. 25,7; Ø 40,5 mm; Venezia, collezione Voltolina)
La medaglia, datata come detto 1805, in realtà fu realizzata a Roma nei primi mesi del 1806[19] dall’incisore Tommaso Mercandetti[20], stimato artista che lavorò al servizio dei pontefici presso la Zecca romana. Considerando lo stato della Scuola all’epoca e, per contro, il benessere economico e la generosità del nuovo guardian grando[21], è inevitabile concludere che fu lui a finanziare la realizzazione della medaglia pretendendo che venissero fatti i conii per poter battere un alto numero di esemplari. Infatti, insolitamente, accanto ai consueti, pochi esemplari in argento, ne vennero distribuiti molti in bronzo; segno che l’Ambrosioni voleva assicurare massima diffusione alla medaglia. Lo stesso guardian grando pretese la consegna dei conii che oggi sono conservati presso il Museo Correr di Venezia.
T. Mercandetti, Conii della medaglia annuale della Scuola Grande di San Teodoro, 1806 (Venezia, Museo Correr, cl. XXXVII, nn. 18-19)
Essa presenta sia al dritto che al rovescio caratteristiche del tutto diverse dalla precedente, questo pertanto porta ad escludere che le due medaglie, pur contigue, intendessero dar vita a una serie, come invece era accaduto per altre Scuole Grandi. Al rovescio, infatti, la dedica del guardian grando propone parole differenti rispetto alla medaglia precedente ed è inoltre circondata da un’elegante corona di alloro. È l’iconografia del dritto, in ogni caso, che si distacca in modo notevole da quella precedente, presentando un San Teodoro con caratteristiche e attributi diversi rispetto a quelli della “recluta” vestita alla romana.
T. Mercandetti, Medaglia annuale della Scuola Grande di San Teodoro, 1806(bronzo; Ø 40,5 mm; Venezia, collezione privata)
Pur conservando lancia, mantello e corazza (che appaiono comunque molto più particolareggiati e ricercati) e pur essendo identificato dalla legenda come San Teodoro di Amasea, per prima cosa il Santo è raffigurato mentre cavalca un possente destriero; quest’ultimo sta schiacciando sotto le sue zampe un drago alato che in ogni caso non ha scampo, in quanto sta per essere trafitto da un colpo di lancia dello stesso Teodoro. Come è evidente, dunque, l’iconografia di questa medaglia si distacca notevolmente dalla precedente sia a livello figurativo che qualitativo.
La staticità quasi iconica del primo San Teodoro, ad esempio, è sostituita dalla dinamicità del secondo Teodoro a cavallo, il cui mantello è ritratto svolazzante alle sue spalle. Nonostante ciò è altrettanto evidente che quest’ultimo Teodoro, pur glorificato dalla presenza del nimbo, perde importanti elementi distintivi come la palma del martirio. La comparsa dal drago, infine, introduce nella medaglia la complessa questione della leggenda proveniente dall’Oriente, la quale in ogni caso era ormai attestata da lunghissimo tempo a Venezia sia a livello monumentale che musivo[22].
Quanto visto genera dunque ancora più incertezze su quale doveva essere l’idea che i membri della Scuola Grande avevano sul loro patrono: a distanza di un anno, infatti, la stessa confraternita aveva promosso due opposte rappresentazioni di San Teodoro: sembra infatti che il nobile Santo a cavallo, uccisore del drago e splendidamente armato e nimbato ricordi in modo più convincente Teodoro Stratelate, generale e protettore degli eserciti bizantini piuttosto che la giovane recluta romana martirizzata nel IV secolo.
Purtroppo a tale quesito è impossibile dare una risposta: poco dopo l’emissione della medaglia voluta dall’ Ambrosioni, infatti, la Scuola Grande di San Teodoro veniva soppressa il 5 maggio 1806 a seguito del noto decreto napoleonico. Mentre le ultime ricchezze della confraternita affluivano verso Milano, i locali della Scuola Grande venivano adibiti a ricovero per i molti mendicanti che in quegli anni affollavano la città di Venezia[23].
Successivamente, durante il lungo governo austriaco, l’edificio conobbe gli usi più disparati andando incontro, al tempo stesso, ad un degrado sempre maggiore: utilizzato dapprima come archivio politico, finì con il diventare presto deposito di libri e negozio di antiquariato, fino a rischiare addirittura la demolizione[24].
Le medaglie moderne
Questa situazione si protrasse per più di 150 anni: alla metà del Novecento la sede della Scuola era ancora adibita a cinematografo e rimessa di mobili. Nel 1960, tuttavia, a seguito delle richieste di un gruppo di commercianti e artigiani, il patriarca Giovanni Urbani promosse la rinascita della “secolare e gloriosa Scuola di S. Teodoro, primo Patrono di Venezia”[25] erigendola canonicamente il 15 agosto. In quello stesso anno l’edificio conobbe un primo, importante restauro, a cui seguì il riconoscimento civile della confraternita, avvenuto nell’agosto del 1961, e infine, l’11 agosto 1963, l’ottenimento della personalità giuridica.
La ricostituzione della confraternita ebbe effetto anche dal punto di vista numismatico: sono infatti note due medaglie, entrambe risalenti agli anni Ottanta del secolo scorso, in cui il riferimento alla Scuola Grande ma anche all’iconografia di San Teodoro sono evidenti.
B. Tagliapietra, Bassorilievo di San Teodoro che uccide il drago, 1580 (Venezia, Scuola Grande di San Teodoro)
La prima è una medaglia di benemerenza coniata in argento e destinata ai confratelli ed a personalità cittadine meritevoli. Nello specifico, questa è dedicata a Giuseppe Zucchiatti[26], con al rovescio l’indicazione del ventennio 1963-1983. Per quanto riguarda l’iconografia del dritto, essa si ricollega a quella presente nelle medaglie ottocentesche e mostra San Teodoro con alcuni dei suoi elementi caratteristici, ritto in piedi su di una colonna.
Il Santo, volto a destra e circondato dalla scritta SCUOLA GRANDE SAN TEODORO, indossa infatti la corazza e il mantello, che ricordano quelli romani, e l’elmo, che a sua volta è racchiuso da un nimbo. Come di consueto Teodoro impugna la lancia, tuttavia con l’altra mano egli regge uno scudo tondeggiante, elemento che finora non era mai apparso nelle altre rappresentazioni; in basso infine è posto un drago morente, che il Santo schiaccia con i piedi e trafigge con la lancia.
Anonimo, Medaglia di benemerenza per Giuseppe Zucchiatti, 1983 (argento, g. 20,1; Ø 37,2 mm; Venezia, collezione Voltolina).
In questa occasione, dunque, il ritratto di San Teodoro sembra il risultato di una vera e propria mescolanza delle varie tradizioni: egli indossa l’armamento romano ma non possiede la palma, uccide il drago ma è privo di cavalcatura e porta il nimbo ma anche l’elmo. Un altro aspetto innovativo e particolare di questa raffigurazione è poi costituito dalla collocazione del Santo sulla sommità di una colonna; tutto questo, unito alla presenza del drago e alla stessa posizione di Teodoro, potrebbe far pensare che l’anonimo autore abbia voluto riprodurre la celebre statua del Santo soldato posta su una delle due colonne di Piazza San Marco.
In realtà tale identificazione è errata: modello della medaglia è infatti il bassorilievo cinquecentesco di San Teodoro che uccide il drago che orna uno degli spigoli della facciata della Scuola Grande prospiciente il rio posteriore. Questa scultura, opera di Battista Tagliapietra e risalente al 1580[27], rientrava nella prima fase degli imponenti lavori di ampliamento che coinvolsero l’edificio della Scuola Grande[28] e dimostra con chiarezza la mescolanza delle tradizioni che circolavano a Venezia sulla figura del Santo.
L’iconografia del dritto di questa medaglia, che di fatto costituiva l’emissione ufficiale della rinnovata Scuola Grande di San Teodoro, fu utilizzata nel 2008, durante il guardianato di Piero Menegazzi, per celebrare i settecentocinquanta anni dalla fondazione della confraternita[29].
Anonimo, Medaglia del 750° anniversario della fondazione della Scuola Grande di San Teodoro, 2008 (argento, g. 20,9; Ø 37,3 mm; Venezia, archivio G. Fantin)
La medaglia, con modestissime varianti legate al contorno, fu realizzata in argento; sul rovescio, reca incisa la scritta 750° / ANNIVERSARIO / FONDAZIONE / 1258-2008.
G. Aricò, Medaglia del 25° anniversario della rifondazione della Scuola Grande di San Teodoro, 1988 (bronzo; Ø 59,2 mm; Venezia, collezione privata)
Interessante infine anche la raffigurazione di San Teodoro presente in una seconda medaglia novecentesca, dedicata al venticinquesimo anniversario dell’istituzione giuridica della Scuola (1963-1988). Questa medaglia, fusa in bronzo e opera del noto artista Gianni Aricò (autore di numerose sculture e medaglie di ambito veneziano[30]), è particolarmente interessante in quanto mostra al dritto la raffigurazione del Santo e al rovescio la facciata della Scuola Grande; anche in questa occasione la scritta SCUOLA GRANDE S. TEODORO 1963-1988 si sviluppa alla destra e alla sinistra del Santo anche se in modo verticale e, in alcuni punti, la stessa figura di Teodoro ne va a coprire alcune lettere.
Per quanto riguarda la rappresentazione del patrono della Scuola, essa appare molto simile a quella vista nella medaglia precedente: il Santo infatti appare nimbato, indossa la corazza, il mantello e impugna scudo e lancia, con la quale sta colpendo il drago posto ai suoi piedi.
B. Falconi, Statua di San Teodoro nell’atto di uccidere il drago, 1657 (Venezia, Scuola Grande di San Teodoro)
Nonostante queste somiglianze, la differenza di alcuni dettagli fa comprendere come l’immagine abbia avuto un altro modello di ispirazione: la posizione della testa e del braccio che regge la lancia sono infatti diverse, lo scudo poi non è appoggiato alla gamba del Santo ma sollevato e stretto nella mano sinistra, la coda del drago, infine, è abbassata e non arricciata verso l’alto. Tutti questi elementi fanno escludere che l’immagine di riferimento sia il bassorilievo cinquecentesco; essa va invece ricercata con ogni probabilità in un’altra rappresentazione del Santo, sempre presente nella Scuola Grande, e cioè la statua che orna la facciata principale dell’edificio.
La scelta di questo modello risulta felice, perché tale statua fu sempre molto cara ai confratelli della Scuola, che, nel 1657, l’avevano commissionata allo scultore Bernardo Falconi assieme ad altre due raffiguranti degli angeli; essi furono talmente soddisfatti dell’opera che ordinarono altre due statue di angeli per completare la decorazione della facciata[31].
Proprio la facciata della Scuola Grande appare rappresentata nel rovescio della medaglia; questa raffigurazione, in cui emerge il particolare stile dell’autore e nella quale, non a caso, le statue sembrano sproporzionate e più grandi che nella realtà, sembra voler sottolineare il legame di San Teodoro con l’antico edificio, che per secoli aveva costituito il punto di riferimento per i confratelli e che nel 1988, da venticinque anni, aveva ripreso ad accoglierli.
Schede tecniche delle medaglie
- Giuseppe Zanutti Guardian grando. 1804 | D/ S[ANCTUS]. THEODORUS. AMASENVS [San Teodoro di Amasea]; il Santo visto di fronte, con corazza e mantello di foggia romana, tiene nella destra la palma del martirio e nella sinistra la lancia; R/ Scritta in 5 righe: J[OSEPHUS]. Z[ANUTTIUS]. / FAVORE. / VESTRO. / PRAEFECTUS / 1804 [Giuseppe Zanutti, eletto Guardian grando, grazie alla vostra benevolenza, nel 1804]. Autore: anonimo. Luogo di produzione: Venezia. Dimensioni e realizzazione: Ø 43 mm – fusa. Metallo (e collezioni): argento g 17,7 (Roma, Collez. privata). Rif. bibliografici: –
- Tommaso Ambrosioni Guardian grando. 1805 | D/ S[ANCTVS] THEODORVS MAR[TYR] AMASSENVS – T[HOMAS] M[ERCANDETTI] I[NVENIT] ET S[CVLPSIT] [San Teodoro di Amasea, martire. Tommaso Mercandetti ideò e incise]; il Santo a cavallo, andante a destra, corazzato e nimbato mentre trafigge con la sua lancia un drago alato. R/ Scritta in quattro righe entro due rami di alloro incrociati: THOMAS / AMBROSIONIVS / CVSTOS MAGNVS / MDCCCV [Tommaso Ambrosioni Guardian grando nel 1805]. Autore: Tommaso Mercandetti Luogo di produzione: Zecca di Roma. Dimensioni e realizzazione: Ø 40,5 mm – coniata. Metallo (e collezioni): argento g 25,7 (Venezia, Museo Correr; Venezia, Collez. Voltolina); bronzo (Venezia, Museo Correr; Venezia, Collez. privata).Rif. bibliografici: P. Voltolina, La storia di Venezia attraverso le medaglie, Venezia 1998, III, n. 1888, pp. 672-675; A. Turricchia, Il ventennio napoleonico in Italia attraverso le medaglie, Roma, 2006, III, n. 450, pp. 68-69.
- Medaglia di benemerenza. 1983 | D/ Entro un bordo perlinato, San Teodoro ritto in piedi su di una colonna, nimbato e corazzato, regge con la mano sinistra uno scudo e con la destra una lancia conficcata nelle fauci di un drago che lo stesso Santo sta schiacciando. A sinistra, la scritta: SCVO/LA / GRAN/DE; a destra: SAN / TEO/DO/RO; R/ Liscio, ma con incisa la scritta in tre righe: A / GIUSEPPE ZUCCHIATTI / 1963-1983. Autore: anonimo. Luogo di produzione: Venezia. Dimensioni e realizzazione: Ø 37,2 mm – coniata. Metallo (e collezioni): argento g 20,1 (Venezia, Collez. Voltolina).Rif. bibliografici: –
- Medaglia celebrativa del 750° anniversario della fondazione. 2008 | D/ Entro un bordo perlinato, San Teodoro ritto in piedi su di una colonna, nimbato e corazzato, regge con la mano sinistra uno scudo e con la destra una lancia conficcata nelle fauci di un drago che lo stesso Santo sta schiacciando. A sinistra, la scritta: SCVO/LA / GRAN/DE; a destra: SAN / TEO/DO/RO; R/ Liscio, ma con incisa la scritta in quattro righe: 750° / ANNIVERSARIO / FONDAZIONE / 1258-2008. Autore: anonimo. Luogo di produzione: Venezia. Dimensioni e realizzazione: Ø 37,3 mm – coniata. Metallo (e collezioni): argento g 20,9 (Archivio del guardian grando Giorgio Fantin). Rif. bibliografici: –
- Celebrazione del venticinquesimo anniversario della rifondazione. 1988 | S/ Figura, in forte rilievo, di San Teodoro, ritto in piedi e nimbato, che tiene sollevato, con la sinistra, lo scudo e regge con la destra la lancia con la quale ha infilzato, per le fauci, il drago che gli giace accanto. Ai lati, scritta a lettere incuse; a sinistra: SCVOLA / GRAN/DE / 1963; a destra: S. TEODORO / 1988; R/ Anepigrafo, con la rappresentazione della facciata della Scuola Grande di San Teodoro. Autore: Gianni Aricò. Luogo di produzione: Venezia. Dimensioni e realizzazione: Ø 59,2 mm – fusa. Metallo (e collezioni): bronzo (Collez. privata).Rif. bibliografici; – FONTI ANTICHE E D’ARCHIVIO Archivio di Stato di Venezia, Scuola Grande di San Teodoro, b. 23, Inventari della consegna da guardian a guardian. Archivio Storico Municipale di Venezia, Anagrafe 1805; Comnena, Alessiade: opera storica di una principessa porfirogenita bizantina, a cura di G. Agnello, Palermo 2010. La cronaca veneziana di Giovanni Diacono, a cura di M. De Biasi, Venezia 1986.
Bibliografia essenziale
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- L. Mezzaroba, Conii S. di medaglie del Museo Correr, storia della collezione delle Scuole Grandi di Venezia, in “Rivista italiana di numismatica e scienze affini”, CVII, 2006.
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- S. Tramontin, I santi dei mosaici marciani, in S. Tramontin, A. Niero, G. Musolino, Culto dei santi a Venezia, Venezia 1965, pp. 133-154.
- A. Turricchia, Il ventennio napoleonico in Italia attraverso le medaglie, Roma, 2006.
- P. Voltolina, La storia di Venezia attraverso le medaglie, Venezia 1998.
- A. Zorzi, Venezia scomparsa, Milano 1977.
Note al testo
[1] La Banca era formata dal vicario e da altri due (o più) confratelli chiamati compagni o bancali, la Zonta era invece costituita da 12 membri; tutti questi incarichi duravano appunto un anno e non potevano essere rifiutati se non pagando un’ammenda. Al riguardo cfr. S. Gramigna, A. Perissa, Scuole di arti mestieri e devozione a Venezia, Venezia 1981, pp. 25-26.[2] Fino a quel momento infatti le medaglie, che potevano essere distribuite dal guardian grando ma anche dal vicario o dal guardian de matin, erano assegnate anche ai confratelli che subentravano nelle cariche (Leonardo Mezzaroba, Coniidi medaglie del Museo Correr, storia della collezione delle Scuole Grandi di Venezia, in “Rivista italiana di numismatica e scienze affini”, CVII, 2006, p. 240).[3] Il dritto “stabile” della serie di medaglie annuali della Scuola Grande della Carità si ispira infatti a quello di una medaglia precedente, datata appunto 1776, che può dunque costituire a tutti gli effetti il prototipo della serie nonostante i tredici anni intercorsi rispetto alla seconda (al riguardo v. ibid).[4] Anton Schabel (1725-1806), austriaco, lavorò per cinquant’anni presso la Zecca di Venezia, di cui divenne il più abile e titolato incisore. Andato in pensione nel 1805, dopo cinquant’anni di attività, morì a Venezia l’anno seguente (per un inquadramento della vita e della ricchissima produzione di medaglie dello Schabel, v. P. Voltolina, La storia di Venezia attraverso le medaglie, Venezia 1998, III, pp. 855-856).[5] Le “Accademie patriottiche” o “Sale patriottiche” erano “adunanze nelle quali i parroci della città erano tenuti ad illustrare al pubblico i vantaggi del regime democratico” (A. Zorzi, Venezia scomparsa, Milano 1977, II, p. 593).[6] Giuseppe Zanutti era subentrato a Matteo Chiaro; a sua volta egli cedette l’incarico a Cristoforo Martini, che lo tenne fino al 2 maggio 1805, quando divenne guardian grando Tommaso Ambrosioni, ultimo a ricoprire tale incarico. Le date sono quelle della presa in carico dei beni della Scuola, riportate in Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi ASVe) Scuola Grande di San Teodoro, b. 23, Inventari della consegna da guardian a guardian, fasc. 3, c. 2v.[7] Giuseppe Zanutti, figlio di Domenico, era nato poco prima del 1770; nel 1805 egli risiedeva nella parrocchia di San Silvestro, svolgeva l’attività di “negoziante” e risultava sposato e padre di un figlio, Antonio, nato verso il 1790 (cfr. Archivio Storico Municipale di Venezia, d’ora in poi ASMVe, Anagrafe 1805, alla lettera Zan-, cc. 30v e 31r).[8] Cfr. S. Tramontin, I santi dei mosaici marciani, in S. Tramontin, A. Niero, G. Musolino, Culto dei santi a Venezia, Venezia 1965, p. 142. Bisogna notare tuttavia che il cronista Giovanni Diacono, primo storico veneziano vissuto nell’XI secolo, non fa mai menzione del culto di San Teodoro, né durante il racconto della guerra gotica, né in occasione dell’arrivo a Venezia delle spoglie di San Marco (La cronaca veneziana di Giovanni Diacono, a cura di M. De Biasi, Venezia 1986).[9] Per una relazione più dettagliata della vicenda si rinvia ibid., p. 143.[10] Dopo aver subito il martirio, il corpo di San Teodoro Tiro fu seppellito presso Euchaita da una donna chiamata Eusebia. La stessa cittadina venne poi individuata come luogo di sepoltura di San Teodoro Stratelate: proprio per questo motivo l’imperatore bizantino Giovanni I Zimisce la rinominò Teodoropoli in seguito alla grande vittoria di Doristolon ottenuta, secondo la tradizione, grazie all’intercessione del Santo soldato (971). Al riguardo si veda A. Butter, Il primo grande dizionario dei santi secondo il calendario, Casale Monferrato 2001, p. 207.[11] A. Comnena, Alessiade: opera storica di una principessa porfirogenita bizantina, a cura di G. Agnello, Palermo 2010, p. 175. Altri esempi di devozione dell’esercito e dei generali bizantini per il Santo si ritrovano ibid., p. 126.[12] Per una dettagliata spiegazione del fenomeno si rinvia a La Scuola Grande di San Teodoro, a cura di S. Scarpa, Venezia 2006, p. 77-78.[13] Significativo il fatto che già Flaminio Corner, nelle sue Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venezia 1749, dopo aver dedicato ampio spazio alla figura di San Teodoro, concludesse desolatamente che non esistevano riferimenti documentati utili a risolvere la questione (“An vero hic fuerit Theodorus Martyr a priscis Venetis in primarium Patronum adoptatus […] nulla nos monumenta edocent.” II, p. 258).[14] Di questa opinione sono ad esempio A. Niero (I santi patroni, in S. Tramontin, A. Niero, G. Musolino, Culto dei santi, op. cit., pp. 91-92) e J. Scarpa (La Scuola Grande di San Teodoro, op. cit., p. 77) i quali identificano le reliquie di San Teodoro Tiro con quelle giunte a Venezia nel 1096.[15] Cfr. A. Butter, Il primo grande dizionario dei santi, op. cit., p. 207.[16] Sostenitore di questa terza tesi è S. Tramontin, I santi dei mosaici marciani, op. cit., p. 143.[17] La medaglia è stata infatti analizzata nei suoi aspetti tecnici e storici da P. Voltolina, Storia di Venezia, op. cit., III, pp. 672-675 e da A. Turricchia, Il ventennio napoleonico in Italia attraverso le medaglie, Roma, 2006, III, pp. 68-69.[18] Tommaso Ambrosioni, figlio di Ambrogio, era originario di Bergamo e doveva essere nato all’incirca nel 1755. Di professione “negoziante”, egli non era sposato e nei primi anni dell’Ottocento abitava nella parrocchia di San Cassiano (ASMVe, Anagrafe 1805, alla lettera Am, cc. 66v e 67r).[19] Ne parla come di opera “di fresco eseguita” il “Diario ordinario” del Cracas n. 30, 12 aprile 1806, p. 12 (riportato in A. Turricchia, Il ventennio napoleonico, op. cit., III, Roma, 2006, III, p. 68).[20] Tommaso Mercandetti (Roma, 1758-1821) fu uno dei più importanti incisori italiani del suo tempo; lavorò nella Zecca di Roma al servizio dei pontefici e, nonostante diverse difficoltà, riuscì a farsi apprezzare in particolare da papa Pio VII, che gli commissionò l’incarico di realizzare una grande serie di medaglie celebrative per gli italiani illustri del secolo precedente (cfr. F. Bartolotti, Le medaglie di Tommaso Mercandetti, in “Medaglia”, 2, 1971, pp. 18-37 parte prima; 3, 1972, pp. 25-41 parte seconda).[21] Il guardian grando è infatti definito “ricco e generoso” nel già citato articolo del “Diario ordinario” (in A. Turricchia, Il ventennio napoleonico, op. cit., III, p. 68).[22] Le rappresentazioni di San Teodoro con il drago sono infatti numerose a Venezia, si pensi, per citare le più famose, al Santo raffigurato su una delle colonne in Piazza San Marco o a quello presente nei mosaici della Chiesa di San Marco. Al riguardo si veda S. Tramontin, I santi dei mosaici marciani, op. cit., p. 143.[23] “Sembra infatti che il Viceré francese, giunto a Venezia, fosse rimasto fortemente colpito dal numero e dalle condizioni dei mendicanti, costretti a dormire per terra, all’aperto in pieno inverno. Venne così deciso di utilizzare d’urgenza gli ambienti della Scuola di S. Teodoro, sul pavimento dei quali si provvide a stendere della paglia”. (P. Voltolina, Storia di Venezia, op. cit., p. 673)[24] Per un quadro più dettagliato delle vicende ottocentesche della sede della Scuola Grande di San Teodoro si rinvia a S. Gramigna, A. Perissa, Scuole di arti mestieri e devozione, op. cit., p. 98.[25] Dal Decreto patriarcale di ricostruzione della Scuola Grande di San Teodoro riportato in La Scuola Grande di San Teodoro, op. cit., p. 29.[26] Giuseppe Zucchiatti (Venezia, 1916-2011) si distinse per la sua attività a favore dei giovani della sua città, per i quali organizzò vari eventi, quali ad esempio le Venetiadi.[27] Al di sotto del bassorilievo si ritrova infatti la scritta MDLXXX PRAEFECTO COLLEGII D. THEODORI IOSEPHO NEGRONIO – NONIS AUGUSTI (1580 mentre era guardian grando della Scuola di San Teodoro Giuseppe Negroni – 5 agosto). Cfr. G. Scattolin, La Scuola Grande di San Teodoro in Venezia, Venezia 1961, p. 25.[28] Tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo i confratelli della Scuola Grande promossero tre successive fasi di ampliamento e ristrutturazione della loro Scuola. Per una dettagliata analisi di questi imponenti lavori cfr. ibid., pp. 25-33.[29] Come è noto, la “fraterna” di San Teodoro venne fondata nel 1258; secondo alcune ipotesi, essa sarebbe in realtà molto più antica e legata alle stesse origini di Venezia che aveva assunto come suo primo patrono proprio il Santo soldato. Il sodalizio venne elevato alla dignità di Scuola Grande nel 1552 (cfr. ibid., pp. 12-16).[30] Gianni Aricò, nato a Quero (Belluno) nel 1941, ha fatto di Venezia la sede privilegiata delle sue opere: basti citare le tre porte del Teatro Goldoni o il monumento a Vivaldi a San Basilio. Tra le sue numerose medaglie di argomento veneziano, alcune sono specificamente dedicate a importanti istituzioni della città lagunare, quali l’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti (realizzata proprio nel 1988), l’Ateneo Veneto e Ca’ Foscari.[31] Cfr. La Scuola Grande di San Teodoro, op. cit., p. 24. Vi viene precisato inoltre che le cinque statue che ornano la facciata della Scuola Grande (i quattro Angeli adoranti e San Teodoro nell’atto di uccidere il drago) sono in pietra di Vicenza e furono ordinate quando ormai i lavori della facciata erano quasi terminanti.