Un granduca rivoluzionario per la monetazione toscana, Cosimo I de’ Medici introdusse nuovi importanti nominali
di Francesco Billi | Il 500° della nascita di Cosimo I de’ Medici, figlio del celebre condottiero Giovanni delle Bande Nere venuto alla luce il 12 giugno 1519, rappresenta un’ottima occasione per rileggere una pagina affascinante della numismatica fiorentina e italiana.
Infatti, le riforme monetali di colui che fu il primo granduca di Toscana (1) non solo consolidarono la politica medicea volta a sradicare i precedenti ideali del libero Comune medievale, ma, dopo l’annessione di Siena, interpretarono il passaggio dalla dimensione ducale a quella granducale, destinata a durare fino alle soglie dell’unità nazionale.
In altre parole le monete di Cosimo I, espressione della più raffinata estetica rinascimentale, accompagnarono Firenze e i suoi territori provinciali verso nuovi orizzonti e inedite turbolenze di sapore moderno.
Periodizzazione e legende monetali
Convenzionalmente (fa scuola in questo senso il catalogo Le Monete del Granducato di Toscana di Arrigo Galeotti, 1929) le emissioni cosimiane vengono suddivise cronologicamente in quattro periodi, corrispondenti all’evoluzione dei titoli a lui riconosciuti e al conseguente aggiornamento delle legende.
I periodo, 1536-1537
Dal 1536 al 1537 Cosimo I risultava semplicemente “Capo e Primario del Governo” della città, con legenda COSMUS II MEDICES, ovvero il secondo membro della casata medicea a governare Firenze, dopo che Alessandro I (1531-1536), in qualità di duca, aveva inaugurato la Signoria con il beneplacito dell’Imperatore Carlo V.
II periodo, 1537-1557
Solo nel 1537 il titolo di Cosimo I venne equiparato ufficialmente a quello del suo predecessore, ancora una volta per intercessione di Carlo V, e le emissioni si adeguarono al titolo di secondo duca di Firenze, COSMUS MEDICES FLOR. DUX II, mentre, dopo la breve parentesi del primo periodo, sugli scudi d’oro cosimiani ricomparve la corona ducale sopra lo stemma mediceo.
III e IV periodo, 1557-1574
Nel 1557 Cosimo I ottenne “in feudo libero, nobile e onorifico” dall’imperatore Filippo II la città di Siena, costretta a capitolare dopo anni di guerra.
La nuova situazione geopolitica trovò riscontro nelle legende COSMUS MED. FLOR. ET SENAR. DUX II, ovvero duca di Firenze e Siena.
La svolta definitiva, corrispondente al IV° periodo, arrivò il 27 agosto 1569 quando Pio V, mediante bolla papale pubblicata a Firenze il 13 dicembre, dichiarò Cosimo I granduca della Provincia di Toscana.
Il 5 marzo successivo avvenne a Roma la solenne cerimonia dell’incoronazione. Da questo momento in poi la monetazione dei Medici riportò nella legenda il prestigioso titolo di MAGNUS DUX ETRURIAE.
La “rivoluzione medicea”: monete e iconografia
La riforma totale del sistema monetale fiorentino, che andava adeguato alle aspettative dell’imperatore Carlo V e alle nuove esigenze dell’economia internazionale, venne inaugurata già dal duca Alessandro I, predecessore di Cosimo I, con la sospensione definitiva della coniazione del fiorino d’oro sancita nel 1533.
Ad essa si accompagnò una radicale rivoluzione iconografica volta a sradicare i simboli della Repubblica, che per secoli avevano identificato il prestigio del libero comune: san Giovanni, secondo le tradizionali raffigurazioni ispirate verosimilmente ai mosaici duecenteschi del Battistero, e il giglio, vero e proprio stemma “parlante” di Florentia.
Così, dopo un iniziale momento di prudenza, la Signoria dei Medici decise di fare propria la monetazione cittadina, controllandola e sfruttandola per celebrare il governo principesco grazie al coinvolgimento dei migliori artisti di corte.
In questo senso il testone d’argento di Alessandro I (1533-1536), prima vera moneta del nuovo corso politico, rappresentò la tappa emblematica della svolta ideologica: al dritto (o “pila” secondo la terminologia della zecca fiorentina) il san Giovanni venne sostituito dal volto del duca, secondo uno stile che riecheggiava la numismatica imperiale romana, tanto ammirata dalla famiglia Medici che vantava un’importante collezione di monete antiche.
L’esecuzione del conio venne affidata all’illustre orafo Benvenuto Cellini e il ritratto monetale di Alessandro I, che valse a questo testone il nomignolo di “riccio”, ispirò il Vasari per un dipinto encomiastico del 1534, raffigurante il principe in armatura.
Per completare il programma di celebrazione della Signoria, al posto del consueto giglio medievale, comparvero sul rovescio (chiamato a Firenze “torsello”) i santi Cosma e Damiano, medici cristiani e martiri di età dioclezianea, scelti come protettori dalla dinastia fiorentina dominante (per l’attribuzione dei tipi di dritto e di rovescio nel fiorino d’oro si fa riferimento al saggio di L. Travaini e M. Broggini negli Atti del Convegno di studio Lexicon Iconographicum Nimismaticae, Milano 2012)
Le riforme di Alessandro I vennero poi portate a termine e consolidate con Cosimo I (1536-1574), che non fu un mero esecutore, ma svolse un ruolo da protagonista nella definizione della rivoluzione monetale medicea.
Fu lui, ad esempio, a completare la sostituzione dei tradizionali fiorini d’oro a 24 carati con gli scudi aurei “alla francese” a 22 carati, ormai adottati da tutte le altre potenze europee, come testimonia lo storico e diplomatico di corte Bernardo Segni: “Fece disfare tutta la moneta antica della città colla stampa del giglio e di Santo Giovanni, riducendo tutto l’oro alla moneta di scudo” (Segni, I, p.358).
Una scelta motivata dall’adeguamento agli scenari commerciali internazionali e dalle insistenze dell’imperatore Carlo V, che, tuttavia, rendendola uguale alle altre, privò la moneta aurea fiorentina del suo storico prestigio, aggravando sempre di più il problema della scarsità di metallo prezioso in città.
Il nuovo scudo d’oro fiorentino era caratterizzato al dritto dall’arma, cioè dallo stemma, della famiglia Medici, rappresentata da sei torte vermiglio (dette più comunemente “palle”) su campo dorato e derivante probabilmente dall’insegna dell’Arte del Cambio alla quale era iscritta la casata.
La “palla” superiore era decorata da tre fiordalisi di Francia, in virtù di una concessione fatta nel 1465 da re Luigi XI all’influente esponente mediceo Piero il Gottoso.
La sostituzione dell’amato giglio fiorentino con lo stemma dei Medici riguardò anche le monete minori e gli spiccioli di mistura, che Cosimo I riprese a coniare per la prima volta dalla fine della Repubblica: crazia, quattrino e picciolo.
Il provvedimento non passò di certo inosservato e dovette suscitare il rammarico di molti fiorentini, tra i quali l’anonimo diarista che annotò il 23 febbraio 1554: “[…] fecesi di ciò a 15 in 16 mila Scudi di Piccioli con l’arme de’ Medici e tutta la Gigliata fu sbandita, acciò che Firenze perdesse al tutto l’essere e’l fiore d’Italia” (Orsini, I, p.32).
I tradizionali riferimenti simbolici della Firenze repubblicana, dunque, vennero banditi da tutto il circolante emesso in età cosimiana: l’ideologia del nuovo corso politico imponeva di dare risalto esclusivamente al ritratto del Duca e allo stemma della sua famiglia, a prescindere dalla nobiltà del metallo coniato.
La riforma monetale e le innovazioni di Cosimo I
La monetazione riformata dai Medici e posta sotto il controllo della Signoria, si espresse in nuovi nominali ritenuti più adeguati all’evoluzione del mercato sia internazionale, che interno: lo scudo d’oro e il testone, il giulio e il mezzo giulio d’argento, vennero coniati fin dal governo ducale di Alessandro I.
A questo sistema iniziale Cosimo I de’ Medici aggiunse importanti novità estremamente indicative della mentalità politica ed economica dell’epoca: le piastre e le mezze piastre d’oro e d’argento, lo stellino e la lira d’argento; oltre ai tagli minori in mistura riconiati per la prima volta dalla fine della Repubblica e rinnovati iconograficamente: la crazia, derivante dal quattrino bianco repubblicano di inizio XVI° secolo, il quattrino e il picciolo, rivalutato a mezzo quattrino.
noltre dal 1557 circa, il futuro granduca di Toscana introdusse nel conio delle principali monete la datazione “alla tedesca”, ovvero in numeri arabi, in sostituzione degli antichi simboli di zecca e considerata molto più funzionali a garantire la qualità della lega a certificare la cronologia delle emissioni monetarie.
La lira
La lira fu uno dei primi nominali introdotti da Cosimo I per adeguare la monetazione fiorentina ai sistemi economici internazionali e per sostenere il circolante in argento di fronte alla scarsità dell’oro.
Fino ad allora considerata a Firenze moneta di conto, ma da tempo divenuta effettiva in altri stati, le Lire iniziarono a essere coniate anche dalla zecca medicea a partire dal 1539: le prime emissioni, prive di data, sono riconoscibili per il ritratto giovanile e imberbe del duca.
Per il rovescio, invece, venne scelto il complesso tipo del Giudizio Universale, talvolta attribuito a un prototipo del Cellini, ma verosimilmente opera dell’allievo Pietro Paolo Galeotti. Infatti, la modernità dell’iconografia rimandava con ogni probabilità al clima ispiratore del Concilio di Trento (1545-1563) e all’ideale difesa dell’ortodossia cattolica contro i Luterani.
Lo stellino
Lo stellino è un interessante esempio dell’aggressiva politica monetale di Cosimo I, poiché ottenuto ribattendo con il conio mediceo la grande quantità di testoni genovesi, raffiguranti la benedizione del doge, che in quel periodo circolavano a Firenze.
L’operazione ebbe inizio nell’agosto 1554, partendo da una valutazione puramente economica: essendo le emissioni genovesi uguali a quelle medicee per titolo argenteo, ma di peso superiore, si potevano evitare i costi di fusione del metallo riconiando semplicemente i pezzi stranieri.
Per distinguerli dalle serie ordinarie si inserì nel campo del dritto, dietro al collo del ritratto cosimiano, il simbolo della stella che diede il nome alla moneta.
La piastra d’oro e la piastra d’argento
Bernardo Segni, storico e diplomatico di corte, ricorda che nel 1547 Cosimo I donò a don Filippo, figlio dell’imperatore, “cinquemila medaglioni di Cosimo di dieci ducati l’uno” sistemati dentro un gran bacino.
Si trattava quasi sicuramente di piastre d’oro, introdotte dal duca di Firenze nel sistema monetale durante il cosiddetto secondo periodo (1537-1557), mentre risulta più tarda l’adozione della mezza piastra aurea.
Questa moneta, vero gioiello rinascimentale dominato iconograficamente dal busto del Signore in ricca armatura, rappresentava un’ostentazione di prestigio più che una necessità commerciale.
Del resto, una simile prestigiosa coniazione emula in modo abbastanza evidente i multipli aurei tipici della numismatica imperiale romana (specialmente costantiniana) ben nota alla famiglia governante, rinomata per collezionare monete antiche. Il bellissimo conio potrebbe essere opera di Pietro Paolo Galeotti, allievo del Cellini e da tempo dipendente della zecca fiorentina.
Dal 1557, per la grande disponibilità di argento proveniente dalle Americhe, Cosimo I iniziò a coniare piastre e mezze Piastre anche in questo metallo prezioso, riproponendo la lega pregiata, detta “popolino”, di repubblicana memoria.
Queste monete, destinate ad avere grande successo, erano già state adottate da numerosi governi stranieri, tuttavia, per quel che riguarda Firenze, oltre all’opportunità commerciale, fu probabilmente anche la difficoltà di attirare oro in città a favorirne la diffusione nel circolante.
Di elegante e raffinata fattura, erano caratterizzate al dritto dal ritratto del Principe in armatura, ispirato ai modelli imperiali romani.
Per il rovescio, invece, vennero scelte due diverse iconografie dedicate entrambe a san Giovanni Battista: il patrono raffigurato da solo, in piedi, sulla piastra e mentre predica tra i fedeli sulla mezza piastra.
I tipi monetali senesi
Da quando nel 1557 ottenne in feudo da Filippo II la città di Siena, Cosimo I promosse, soprattutto per l’argento, una serie di nuovi tipi in omaggio alla moneta senese: una strategia propagandistica dettata dall’opportunismo politico, sia per celebrare di fronte ai fiorentini l’espansione dello stato mediceo, sia per lusingare prudentemente i nuovi sudditi.
Così nel testone e nel giulio comparve al rovescio l’iconografia dedicata alla Vergine che sovrasta Siena, sua protettrice fin dalla vittoria di Montaperti, avvenuta nel lontano 1260, proprio contro i guelfi fiorentini.
Il mezzo giulio e la crazia, invece, ricalcarono il tipo della Lupa senese, emblema della città fondata secondo il mito da Senio e Ascanio, figli di Remo, in fuga dallo zio dopo l’assassinio del padre.
Dal 1569, essendosi consolidato il suo potere con il riconoscimento papale del titolo di granduca di Toscana, Cosimo I cessò le emissioni ispirate a Siena, che rimase citata solamente nelle legende.
Così il granduca, che sarebbe spirato a Firenze cinque anni dopo – il 21 aprile 1574 -, all’apice della sua gloria, anche grazie alle monete consolidava l’immagine e il prestigio della Toscana nello scenario italiano ed europeo.
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